NON SARA’ IL CALDO A FAR CHIUDERE LE AZIENDE AGRICOLE DEL SUD, MA LA RIDUZIONE DELLA PAC

Non c’entra nulla il caldo come dice la Banca d’Italia. Su quello gli agricoltori del Sud hanno già fatto il callo, che i ricercatori non vedono attraverso le loro lenti. Le aziende chiudono perchè manca una politica dei prezzi trasparente e perchè le risorse PAC che erano una volta destinate agli agricoltori, tornano indietro a Bruxelles in quanto le regioni se ne sono appropriate e non sono in grado di spenderle. 

E’ di oggi la notizia di due studi di Bankitalia, apparsi su Repubblica, secondo i quali per il caldo estremo nelle regioni meridionali diminuiranno le aziende agricole e altre attività.

Sfugge agli studiosi della Banca d’Italia che con la siccità le aziende agricole del Sud convivono da oltre 35 anni!

Era il 1986 quando tra i primi agricoltori della Basilicata acquistai dal Consorzio Agrario un impianto di irrigazione a goccia israeliano su cinque ettari di pomodoro. Il minimum tillage per evitare le arature profonde e l’evapotraspirazione lo abbiamo introdotto da oltre 25 anni. L’aridocoltura è entrata da molto tempo nel dna degli agricoltori del Sud.

Oggi con la tecnica della semina su sodo è possibile affrancarsi da molti vincoli pedoclimatici e agronomici, se non fosse per il glifosate che rappresenta ancora un fattore limitante allo sviluppo di questa tecnica, almeno sino a quando il diserbo elettrico non sarà più economico.

Insomma gli agricoltori al Sud hanno già dato prova di saper affrontare il caldo e la questione climatica meglio del Nord, che oggi risente di problemi a noi già noti da tempo.

PAC DIROTTATA E A DUE VELOCITA’

Quello che invece non funziona e discrimina i redditi delle aziende agricole è il fatto che nel corso degli anni gli aiuti comunitari sono stati trasferiti progressivamente dal primo pilastro al secondo pilastro. Nata nel 1962 la Politica agricola comune (Pac) rappresenta una stretta alleanza tra l’Europa e i suoi agricoltori. 

Il primo pilastro della Pac è la sezione Garanzia del Feoga (Fondo europeo di orientamento e garanzia in agricoltura) che finanzia i pagamenti diretti agli agricoltori.

Il secondo pilastro della Pac riguarda lo sviluppo rurale dell’UE ed è concepito per fornire sostegno alle zone rurali dell’Unione e far fronte all’ampia gamma di sfide di carattere economico, ambientale e sociale. Un maggiore grado di flessibilità (rispetto al primo pilastro) consente alle autorità regionali, nazionali e locali di elaborare i loro programmi pluriennali di sviluppo rurale basandosi su un «menu di misure» europeo.

A differenza del primo pilastro, interamente finanziato dall’UE, i programmi del secondo sono cofinanziati dai fondi unioniali e regionali o nazionali.

Con la riforma Mac Sharry 1992-1999,  per le aree tradizionali del grano duro, era riconosciuto un aiuto pari a 650 mila lire per ettaro che aggiunto all’aiuto ocm portava il sostegno al reddito agricolo a circa 1.000.000 di lire per ettaro. Ma a partire da Agenda 2000, in venti anni abbiamo assistito ad una progressiva riduzione degli aiuti che sta mettendo in ginocchio le aziende agricole. Se a questo si aggiunge una politica dei prezzi selvaggia e senza regole, come hanno dimostrato varie sentenze, è facile intuire perchè le aziende non abbiano più un reddito.

Le sentenze dei tribunali italiani sono verità storiche che hanno già dimostrato, a monte, l’opacità di alcune borse merci locali e, a valle, il cartello delle industrie pastaie.

Il caldo, dunque, non c’entra nulla, serve solo a distrarre l’opinione pubblica.

Le aziende chiudono perchè non fanno più reddito (i prezzi fissati da chi compra non consentono di coprire i costi) e non hanno più gli aiuti diretti del primo pilastro come una volta.

Negli anni la Pac ha visto ridurre il proprio tesoretto, oggi siamo a circa il 30% del bilancio comunitario (negli anni ’80 era il 66%). Però se un Paese importante e contribuente come l’Italia ha un’agricoltura che pesa solo per il 2%, in proporzione, ha un budget elevato. Quindi, c’è comunque una sproporzione tra quanto pesa l’agricoltura realmente nell’economia e quanto poi interviene la Pac. 

L’entità delle risorse è diminuita anche perchè le regioni italiane hanno voluto gestire direttamente una parte di quei fondi per finanziare il secondo pilastro (Psr) e gestire i consensi, a detrimento del primo pilastro, quello dei pagamenti diretti alle aziende agricole.

La Pac è ancora difesa perché da politica settoriale è diventata una politica a tutto tondo, quasi una politica ambientale. Infatti, viene erogato un ammontare di risorse affinché poi venga speso in impegni ambientali, non ancora molto chiari, che stanno creando confusione e incertezze nei vari ecoschemi.

Nel corso delle varie programmazioni, non solo vi è stato un passaggio di risorse dai produttori alle regioni, ma anche un trasferimento maggiore di risorse alle aziende agricole del Nord a scapito del Sud.

Insomma una vera e propria discriminazione economica che grida allo scandalo e su cui i partiti e i sindacati dovrebbero riflettere per correggere la rotta.

Disimpegno automatico delle risorse non spese

Quando parliamo di risorse della politica agricola, e degli spostamenti avvenuti dal primo al secondo pilastro, dobbiamo anche richiamare l’attenzione su un’evidenza: il fatto che le regioni oggi non riescono a spendere le risorse per tutta una serie di motivi. Tra cui la complessità della normativa e delle procedure dalla quale si fa sempre più fatica ad uscire. 

Le risorse che non si riescono a spendere tornano indietro a Bruxelles (pochi anni fa è successo alla Puglia). Alle autorità viene dato un tempo per impegnarle e spenderle. Se non lo fanno, i soldi vanno restituiti e vengono redistribuiti tra altri Stati più virtuosi.

L’Italia è l’unico Stato membro a livello europeo ad avere un grado di regionalizzazione e complessità tale per cui le risorse che erano una volta degli agricoltori, tornano indietro perchè le regioni non sono in grado di spenderle. 

Non sarebbe più sensato ridare quelle risorse agli agricoltori attraverso il primo pilastro?

Tagli dal 30 al 50%

Infatti, gli agricoltori meridionali che oggi coltivano seminativi si trovano, nel silenzio dei sindacati agricoli, di fronte a imprevisti tagli che viaggiano a seconda dei casi dal 30 al 50 per cento degli aiuti. Anziché battere i pugni sul tavolo e difendere gli interessi dei nostri territori, i sindacati hanno preferito acconsentire questo scempio.

E’ chiaro che in questo modo le aziende agricole meridionali chiuderanno! Perchè il settore primario in senso stretto, cioè chi coltiva la terra e alleva gli animali ha un peso ridotto rispetto a tutti gli interessi strategici nazionali.

Non c’entra nulla il caldo come dice la Banca d’Italia. Su quello gli agricoltori del Sud hanno già fatto il callo, che i ricercatori della Banca d’Italia non vedono attraverso le loro lenti. 

Prima di fare gli studi di econometria a tavolino bisognerebbe sporcarsi le scarpe di terra!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *