Autonomia regionale, riforma frettolosa senza futuro per la bandiera
E’ giusto toccare l’assetto istituzionale del Paese mediante una legge quadro sull’ Autonomia frettolosa, anacronistica e pericolosa per la tenuta della sua bandiera? Il Nord crede veramente di poter andare avanti da solo senza temere svantaggi? Un po di chiarezza nell’arcipelago meridionalista non guasterebbe…
Con l’istituzione delle regioni a statuto ordinario, la rincorsa del sud nel tempo è arretrata rispetto al centro nord.
I dati Svimez sul Pil pro capite dimostrano che il rapporto tra Mezzogiorno e centro-nord, cresciuto negli anni sessanta, si è arrestato dagli anni settanta in poi passando da oltre il 60 per cento al 56 per cento attuale. Se questa coincidenza temporale ha qualche significato, accentuare ulteriormente il regionalismo, trasferendo altri poteri e competenze, sicuramente non favorirà il mezzogiorno.
Ma in ogni caso spezzettare le competenze significherà più efficienza o viceversa costituirà un elemento di degrado delle funzioni che erano centralizzate?
Perchè l’Autonomia è anacronistica?
Viviamo un’ epoca in cui le crisi sistemiche si accavallano tra loro. Siamo forse appena usciti da una guerra contro un virus e ne abbiamo un’altra che mina la pace, mettendo in crisi gli equilibri energetici, ambientali ed alimentari. L’incertezza dello scenario geopolitico ha ulteriormente accresciuto la volatilità e anche la speculazione delle quotazioni internazionali dei cereali e dei semi oleosi.
Con questo scenario il Nord crede veramente di poter andare avanti da solo senza temere svantaggi da un’Autonomia differenziata?
Quale lezione possiamo ricavare dall’esperienza?
1) Se pensiamo alla riforma del Titolo V della Costituzione
La lezione del trasferimento alle Regioni di competenze legislative concorrenti in molte materie, non può non tener conto degli effetti disastrosi che ha già provocato. I numerosi conflitti di attribuzione e i contenziosi sfibranti tra Stato e Regioni ancora oggi impegnano la Corte Costituzionale a porre rimedio.
2) Se pensiamo al sistema sanitario pubblico
La lezione della pandemia ci pone non pochi dubbi sulla efficienza delle regioni.
Un sistema sanitario basato su incentivi di mercato, ci costringe ad ammettere il totale fallimento della legislazione lombarda nel rispondere alla crisi pandemica.
Il loro progetto di Autonomia nella sanità non ha funzionato.
Nel 2015 Maroni con L. R. N 23/2015 propose una revisione della legislazione sanitaria in senso autonomista. Il Governo Renzi (Ministra Lorenzin) per non impugnare la legge di Maroni, chiese alla Regione di considerarla come norma sperimentale dando un termine di 5 anni per la sua valutazione.
La scadenza della sperimentazione in concomitanza con l’anno pandemico, purtroppo, ha evidenziato tutti i limiti della soluzione adottata in Lombardia per effetto di una catena di comando non adeguata a causa di vuoti nell’ambito delle competenze.
Il tentativo di sostituire le ASL (ente previsto dalla normativa nazionale che fissa i principi fondamentali a cui il sistema sanitario regionale deve attenersi) con altre sigle regionali ATS e ASST ha creato una tale confusione nel sistema sanitario lombardo, da rimanere colpito più duramente rispetto ad altri sistemi regionali.
Tanto è vero che le inefficienze hanno prodotto:
- due zone rosse per invio di dati errati al Ministero dalla Lombardia;
- incapacità a far decollare la campagna vaccinale a causa dell’assenza di un sistema valido per le prenotazioni dei vaccini. Un problema risolto sostituendo la Società acquisti di Regione Lombardia-ARIA con Poste Italiane;
- la mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo;
- i mancati tracciamenti dei contagi;
- l’ inadeguatezza della medicina territoriale;
- le dimissioni forzate dell’assessore regionale della Lega, capro espiatorio.
Insomma possiamo affermare che la crisi sanitaria globale non può essere superata senza assicurare sistemi sanitari pubblici di alta qualità. Questo perchè l’Italia riconosce il diritto alla salute non solo come un obiettivo politico, ma anche come un obbligo legale. L’articolo 32 della Costituzione Italiana impone che il paese e le sue regioni realizzino il diritto alla salute al massimo delle sue possibilità.
In tal senso il regionalismo non è una risposta efficace!
3) Se pensiamo al sistema educativo pubblico
Dovremmo ammettere il decadimento qualitativo, strutture fatiscenti (il caso Bramante a Matera è sintomatico) ed un peggioramento della qualità dell’insegnamento.
La scuola è stata, sin dal 1861, la prima e più importante manifestazione dell’ unità d’Italia. Nel tempo, abbiamo assistito ad un impressionante calo della qualità dell’insegnamento. L’introduzione di criteri di analisi della qualità (prove Invalsi) ha certificato un’ omologazione di massima della scuola del Nord Italia con le altre scuole europee e un grave ritardo formativo della scuola del Sud. Con la nuova riforma si consentirà di introdurre nuovi ordinamenti scolastici.
Il Veneto, ad esempio, pensa di adottare lo studio del dialetto veneto, con conseguente retrocessione della lingua italiana.
4) Se pensiamo al sistema di trasporto pubblico
Le statistiche del divario interno che sinora non sono state azzerate, non possono trascurare la questione dei trasporti, delle ferrovie, delle strade, dei porti e degli aeroporti.
Il federalismo lasciato a se stesso, senza controllo da parte dello Stato, ha creato effetti devastanti nei trasporti.
Il numero dei treni circolanti, ogni giorno, nell’intero Meridione è inferiore a quello della sola Lombardia, con elevati tempi di percorrenza. Per percorrere una stessa distanza, al #sud ci vuole il doppio del tempo rispetto al #nord.
Uno studio della Banca d’Italia mette in luce il divario infrastrutturale Nord-Sud, con più infrastrutture e maggiore efficienza al Nord, in particolare in Lombardia, e un sistema sempre più lacunoso man mano che si scende verso Sud.
Le risorse destinate alla spesa pubblica per investimenti fissi lordi e dei trasferimenti in conto capitale alle imprese era il 4,5% del Pil 12 anni fa, mentre oggi è sotto il 3% con la quota del Sud e Isole che si è ulteriormente ridotta e continua a calare dal 2015.
La riforma Calderoli sull’autonomia differenziata
E’ giusto allora toccare l’assetto istituzionale del Paese mediante una legge quadro sull’ Autonomia frettolosa e pericolosa per la sua tenuta, in nome di una cambiale elettorale ?
Cosa è cambiato nelle varie bozze di proposta sull’Autonomia che il ministro Calderoli, sollevando molte polemiche, ha sottoposto al vaglio del Consiglio dei ministri ? Poco!
Il Parlamento resta sempre ai margini sulle Intese con le regioni
Nel processo di approvazione delle intese fra Stato e Regione il Parlamento è completamente esautorato, sia durante l’elaborazione dello schema dell’intesa – è previsto un “atto di indirizzo non vincolante” – sia nell’approvazione di un testo che non può essere emendato.
Il governo resta unico dominus. Ogni regione che chiede più poteri dovrà stringere un’intesa con il governo mentre il Parlamento verrà chiamato con un voto di fiducia a fine percorso.
Il Parlamento resta sempre ai margini sui Livelli Essenziali delle Prestazioni – LEP
Diritti fondamentali come i Lep vanno disciplinati per legge o con atti amministrativi? Ebbene, i Lep saranno definiti con Dpcm, atti amministrativi senza possibilità di essere sottoposti a referendum o censura da parte della Consulta. E senza risorse.
Si andrà avanti solo per le Regioni ricche dato che le altre dovranno attendere che vengano trovate le risorse stimate da alcuni esperti in svariate decine di miliardi (50-100 miliardi).
La previsione attuale non stabilisce alcun finanziamento dei Lep e ciò comporta il rischio che sia ripristinato il vecchio criterio della spesa storica.
Una disgregazione irreversibile
L’accordo tra Stato e singola regione avrà una durata non superiore a dieci anni ed è stato esteso – da 30 a 60 giorni – il termine entro il quale il Parlamento potrà esaminare lo schema di intesa preliminare.
Tuttavia una volta suddivise le risorse, il personale, le sedi e tutti gli aspetti collegati alla competenze trasferite in capo alle regioni, il percorso inverso risulterebbe assai difficoltoso, se non impossibile.
E qual’è allora la vera ragione di tanta fretta per cui la stessa Conferenza delle regioni è stata bypassata nell’esame della proposta di Autonomia differenziata?
La ragione è politica ed elettorale
Se da un lato, la Cgia di Mestre ha sostenuto che l’autonomia piace alle regioni più ricche del Nord perchè danno di più al Paese sul piano fiscale di quanto ricevono.
Dall’altro, le imminenti elezioni regionali in Lombardia e Lazio sono uno snodo cruciale anche per la politica nazionale. In Lombardia quale sarà la tenuta della Lega? Se i risultati dovessero scendere sotto il 10% le fibrillazioni si potrebbero ripercuotere anche in Aula a Roma. La Meloni, dunque, ha dovuto concedere una chance alla Lega. Un atto di solidarietà nei confronti di un alleato in estrema difficoltà.
Dopo le elezioni regionali cosa succederà?
La riforma andrà avanti oppure no?
Sono in molti ad auspicare che, in Parlamento, il testo approvato venga ulteriormente migliorato, affinchè l’Italia eviti di infilarsi con disinvoltura in un vicolo cieco e insidioso.
Ma non dimentichiamo che nel 2001 anche la sinistra utilizzò la strategia della propaganda e, nel disperato tentativo di catturare voti leghisti, portò a segno la riforma del Titolo V. Ancora oggi al Nord tanti del PD appoggiano apertamente o di nascosto la riforma Calderoli, compreso l’aspirante segretario Bonaccini o lo stesso Majorino.
Tuttavia la decisione del governo Meloni di assecondare la bandierina della Lega sull’ Autonomia un effetto l’ha provocato: compattare le opposizioni che sul tema annunciano una dura battaglia di piazza.
Tra le opposizioni, molti temono che dare maggiori gradi di autonomia ad alcune regioni non farà altro che incrinare la coesione e l’unità nazionale, aumentando i divari, mentre si afferma di volerli ridurre in modo significativo con il PNRR anche con la volontà dell’Europa di colmare le forti diseguaglianze tra Nord e Sud.
Non sono solo le opposizioni (con un PD a fasi alterne) a far sentire la loro contrarietà verso l’Autonomia differenziata, ma anche i corpi intermedi.
Confindustria è contraria, i sindacati sono contrari, i sindaci del Recovery Sud sono contrari, gran parte delle regioni sono contrarie, i ceti professionali si sono opposti, come pure i medici e i costituzionalisti, i vescovi della Cei a Benevento si sono schierati contro, il Presidente Mattarella è intervenuto due volte con il suo autorevole monito, Svimez ed altri illustri economisti fanno sentire spesso il loro parere contrario.E’ particolarmente attivo il ruolo del Prof. Viesti, autore del famoso libro “Verso la secessione dei ricchi?”. Anche diversi giornalisti con la loro divulgazione hanno aiutato molto le coscienze e sposato la causa, tra cui Esposito, Aprile, Cannavale ed altri. Qualcuno anche con la pretesa, talvolta non sincera sino in fondo, di aiutare il proprio contesto. Ma il marketing editoriale da solo non basta, molti lettori sono rimasti delusi….
Poi c’è un vasto arcipelago di movimenti e di meridionalisti più o meno attivi, ma sono ancora pochi quelli che contano politicamente. A tal proposito è doveroso un avviso ai nuovi aspiranti: chi ha causato guasti, illudendo le coscienze di molti meridionali, dovrebbe avere almeno il pudore di farsi da parte! Altrimenti il rischio è quello di generare altra confusione.
Non è possibile che dentro alcuni movimenti (ormai di quattro gatti) il presidente dica di voler contrastare la secessione e il segretario, al contrario, si pronunci a favore come se fosse solo una questione di quattrini.
I meridionalisti di una volta, di certo non questuanti , come Sturzo e Salvemini capirono per tempo come il centralismo non avrebbe giovato al Mezzogiorno. Ma un rafforzamento delle autonomie che indebolisca eccessivamente lo Stato non è neppure l’assetto ideale per le nostre istituzioni.
Un assetto efficace dovrebbe riservare allo Stato il ruolo di direttore d’orchestra, al fine di armonizzare politiche non uniformi all’interno di un sistema unico e coerente.
Possibilmente senza quei pregiudizi antropologici di qualche imprenditore bocconiano lombardo che trascorre il suo tempo nei talk show televisivi, dimenticando che le valutazioni sul divario Nord-Sud vanno fatte comprendendo anche i costi sociali e politici che ha sopportato il Mezzogiorno.
Cosa sarebbe stato il miracolo economico negli anni del dopoguerra senza le emigrazioni bibliche del Sud?
Ieri manovalanza operaia, oggi intellettuale con migliaia di giovani laureati e diplomati che vanno via ogni anno portando al Nord le loro competenze! Nè occorre aver fatto la Bocconi per accorgersi che il sud è il principale mercato di sbocco dei prodotti e servizi del Nord.
Un Nord che oggi purtroppo ha perso la caratteristica di motore dello sviluppo del Paese. (Svimez)
Solo attraverso una forte mobilitazione il nostro mezzogiorno potrà rialzarsi e potrà combattere con la schiena dritta per la dignità della sua gente, per il diritto al lavoro dei suoi giovani e contro lo spopolamento dei comuni.
L’occasione del Pnrr
Oggi, peraltro, la storia ci offre il più grande appuntamento per invertire la rotta: si chiama Pnrr. La sua attuazione produrrà una domanda aggiuntiva di lavoro di 375 mila occupati, per il 79% nel settore privato. Ma c’è anche un allarme che proviene da un paper della Banca d’Italia. Con pochi lavoratori nella P.A. al Sud e senza competenze specifiche il Pnrr è a rischio! Non possiamo consentire che gli aiuti europei facciano la stessa fine del Piano Marshall!
Il Governatore della Banca d’Italia lo ha così definito:
Il Pnrr offre una straordinaria opportunità per aggredire i fattori di ritardo della nostra economia, certo per la maggior parte non nuovo, e di rafforzare la coesione territoriale del Paese, un obiettivo permanente se non solo un’aspirazione della nostra storia unitaria.
C’è insomma molto allarme e sono in tanti a confidare in un Sud che, finalmente, si mobiliti e riprenda per mano la bandiera italiana. La partita è appena cominciata.
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