Import grano, De Bonis: “La Sovranità non sia solo uno slogan”
Se il nostro Paese diventa un porto di mare in cui arriva grano scadente da ogni luogo terrestre, a chi tocca difendere la nostra sovranità alimentare? Due interrogazioni parlamentari di Forza Italia hanno cercato di accendere i riflettori su quello che sta accadendo nel mercato, a detrimento degli agricoltori, dei consumatori e dell’interesse nazionale. Si chiede al Governo di far aprire un’indagine anti dumping alla Commissione europea, alla luce dell’inattesa attività di esportazione dalla Turchia. Made in Italy a rischio.
L’inspiegabile crollo delle quotazioni del grano duro in Italia, a fronte di un deficit produttivo mondiale sembra preoccupare pochi soggetti circa il futuro del Made in Italy.
Tra le sigle sindacali, sinora solo la CIA ha radunato gli agricoltori al porto di Bari per lanciare l’allarme sulle importazioni selvagge e i rischi per il Made in Italy. Tutte le altre sigle nicchiano o sembrano essere ancora in ferie. Qualcuna ha forse le mani legate dalle filiere con gli importatori?
Tra i partiti, sinora solo alcuni parlamentari di Forza Italia hanno interrogato il Governo e la Commissione europea. Tutte le altre forze politiche sembrano essere distratte da altri temi.
La sovranità non è solo questione di natura economica
La Borsa merci di Foggia, dopo quattro settimane di chiusura estiva, ha riaperto il 30 agosto con un calo di 60 euro a tonnellata rispetto alla seduta del 2 agosto, in controtendenza rispetto al mercato internazionale.
Il Comitato di gestione cereali, riunito il 24 agosto scorso presso il Masaf, aveva infatti segnalato un aumento del deficit produttivo mondiale. Con la produzione scesa a 30,6 milioni di tonnellate, un consumo pari a circa 33 milioni di tonnellate ed un livello degli stock pari a 1,1 milioni di tonnellate, il più basso degli ultimi 10 anni. Nel Canada inoltre è previsto un calo della produzione di circa 1 milione di tonnellate. In Italia l’annata conferma un deficit di grano duro sui 2,5 milioni di tonnellate.
Se la quantità di grano scarseggia perchè il prezzo scende?
A preoccupare gli operatori di mercato è l’inattesa esportazione di grano dalla Turchia di scarsa qualità e a prezzi da saldo. Sedici navi sono arrivate nei nostri porti dalla Turchia in sordina durante il mese di agosto.
I prezzi d’importazione dalla Turchia nel quinquennio 2018-2022 sono sempre stati in sintonia con quelli rilevati a livello extra UE da Ismea. L’Italia ha importato dalla Turchia 12 mila ton nel 2018 (0,7% del totale import) al prezzo medio di 314 euro/ton; 24 mila ton nel 2019 (1% del totale import) al prezzo medio di 336 euro/ton; 41 mila ton nel 2020 (1,3% del totale import) al prezzo medio di 337 euro/ton; 37 mila ton nel 2021 (1,6% del totale import) al prezzo medio di 429 euro/ton; 45 mila ton nel 2022 (2,5% del totale import) al prezzo medio di 535 euro/ton.
Secondo i dati della Commissione europea, i quantitativi di grano duro importati nel 2023 dall’ Italia cumulati al 3 settembre, sono stati pari a 347 mila tonnellate.
Durante il quinquennio 2018-2022, secondo dati Ismea, la quota media di grano duro importata dall’Italia era pari a 1,4% per la Turchia e 2,4% per la Russia. Nel 2023 all’improvviso i quantitativi importati sono schizzati e le quote medie diventate rispettivamente del 44,5% e 28,6%. Il grano arriva anche dalla Russia.
Il notevole balzo è imputabile ad un prezzo anomalo del grano turco, vero elemento dietro cui si nasconderebbe un comportamento di concorrenza sleale che giustificherebbe l’intervento immediato delle autorità italiane ed europee, a difesa della nostra sovranità.
FISSARE I PREZZI E’ VIETATO IN EUROPA
In Turchia il prezzo del grano duro viene “fissato” per legge dallo stato ed è gestito da un Board il TGB (Turkisch Grain Board), un’agenzia statale che supervisiona e regola l’acquisto, la vendita e lo stoccaggio del grano. Il prezzo fissato dal 6 giugno 2023 era pari a 345 euro tonn (il rapporto della lira turca con il dollaro allora era più favorevole).
La Turchia fa parte dell’Unione Doganale, la cui base legale si sostanzia con accordi commerciali che garantiscono ai paesi aderenti accesso libero al mercato a loro comune ed a tariffe vantaggiose.
Tuttavia, l’ adesione della Turchia ai predetti accordi, vieta quei comportamenti incompatibili con il corretto funzionamento dell’unione doganale che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza.
La “fissazione dei prezzi” è una pratica vietata dall’art 32, comma 1, lett a) e dall’art 33, comma 2, lett a) della Decisione n. 1 del 22 dicembre 1995, pubblicata in Gazzetta ufficiale Ue n. 35 del 13/2/1996. E’ una modalità che lede la concorrenza e la nostra sovranità.
Nonostante ciò, la Turchia starebbe esportando in Italia grano duro ad un prezzo sensibilmente più basso rispetto a quello stabilito dal Board statale TGB, pari a 345 euro tonn, con un prezzo di sbarco CIF (Cost Insurance and Freight) in Puglia pari a 390 euro/ton.
Ma i conti non tornano. Analizzando nel dettaglio i costi, ci si accorge che partendo da una base di prezzo imposto dalla Turchia pari a 345 euro/ton (al centro stoccaggio TGB), per consentire l’arrivo in Italia dentro i nostri molini occorrerebbero almeno 433 euro/ton.
Solo un’indagine approfondita della Commissione europea, come chiede il Sen Paroli (FI) nell’interrogazione al Senato, potrebbe confermare, se è in atto una concorrenza sleale tesa a destabilizzare la sovranità del mercato italiano, anche per ragioni legate al conflitto russo-ucraino e all’embargo.
Il prezzo scende se si inonda il mercato di merce scadente e sottoprezzo
Esportare merci a prezzi molto più bassi di quelli praticati sul mercato interno o su un altro mercato, oppure addirittura sotto costo, da parte di trust già padroni del mercato interno, generalmente con l’appoggio dello Stato, prefigura un’attività di “dumping” che ha lo scopo d’impadronirsi dei mercati esteri. O di destabilizzarli per ragioni politiche.
A fine luglio, secondo indiscrezioni di mercato, i buyers internazionali (tra cui diversi italiani) avrebbero presentato certificati di esportazione per oltre 1,3 mln tonnellate presso il ministero dell’agricoltura turco, che ha già dato il via ad una parte di esportazioni.
La chiave di lettura dell’ improvviso surplus di grano duro turco e dell’ inattesa attività di esportazione, andrebbe ricercata nell’ambito degli accordi siglati tra Turchia, Russia e Ucraina sul corridoio del Mar Nero, che hanno garantito il transito di circa 16 milioni di tonnellate di grano (tenero e duro). La Turchia ha assunto la guida del Centro di Coordinamento del grano. Se così fosse, non sarebbe del tutto vero che in Turchia ci sia stato effettivamente un surplus produttivo di grano duro. Il grano potrebbe anche derivare da triangolazioni finalizzate ad eludere i dazi o l’embargo russo.
La cosa che sorprende gli agricoltori e i consumatori è che alcuni di questi importatori italiani, con le nostre tasse, beneficiano pure di aiuti di stato sulle filiere per aumentare lo stoccaggio di grano, in apparenza italiano, ma di fatto straniero.
Quella di mercanti a caccia di profitti non è la sovranità alimentare di cui ha bisogno il nostro Paese.
Perchè quel grano arrivato dalla Turchia è di qualità scadente?
Secondo indiscrezioni di diversi operatori, le semole ottenute con quei grani, avrebbero prodotto molti reclami presso i molini a causa dell’impossibilità di poter produrre pasta a “regola d’arte”.
E’ la dimostrazione che nonostante le sapienti miscele tra merce straniera e merce nazionale, questi grani a basso indice di glutine e con poche proteine, non hanno le caratteristiche reologiche per produrre pasta made in Italy. E non sappiamo quali siano le caratteristiche tossicologiche.
In Turchia molta merce proveniente dall’ Anatolia aveva scarsa qualità, con un basso indice di glutine, 11 di proteine e bianconato. Per disfarsi di questa roba scadente la Turchia potrebbe aver deciso di allargare le maglie, abbassare il prezzo a 260-270 euro ed inondare il nostro mercato, probabilmente anche eludendo i dazi.
Il prodotto buono in Turchia con 13 di proteine, costa molto di più. Se si aggiungono i dazi più il costo di trasporto e movimentazione sino al molino italiano, il prezzo sale a circa 490 euro tonnellata. Un prezzo in linea con le quotazioni del grano americano e canadese.
Il grano buono, dunque, non lo regala nessuno, quello scadente si.
Ecco perchè in Italia urge rivedere i meccanismi di formazione dei prezzi armonizzandoli con i sistemi internazionali, che premiano sia le caratteristiche reologiche che tossicologiche.
Ma dal governo, sino ad oggi, purtroppo non abbiamo visto una politica tesa a salvaguardare la qualità del grano nazionale. La sovranità alimentare appare, così, sempre più uno slogan.
Approfondire la questione dei dazi
Secondo un Protocollo della Decisione 1/98 del Consiglio di Associazione CE-Turchia, la riduzione del dazio al 100% sul frumento duro agisce dal 1° settembre al 31 maggio dell’anno successivo su un contingente tariffario di 100 mila tonnellate massimo. Non è noto se il grano turco arrivato in Puglia (105 mila ton nel periodo luglio-agosto) abbia beneficiato oppure no della riduzione dei dazi.
Chi risarcisce gli agricoltori italiani da una concorrenza sleale?
Di fronte a prezzi fissati, dazi probabilmente elusi e grano proveniente dalla Russia, chi risarcisce il danno agli agricoltori italiani? Sovranità alimentare vuol dire difendere anche i produttori nazionali e, con essi, i consumatori.
In Europa, invece, stiamo assistendo ad un atteggiamento duale. Sul blocco dell’ import di grano dall’ Ucraina, alcuni Stati europei (Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria) non solo hanno chiesto di prorogarlo fino alla fine del 2023 per non danneggiare i propri agricoltori. Ma Bruxelles oltre a promettere una soluzione entro settembre per il bando di grano ucraino nel nostro continente, avrebbe anche promesso di risarcire gli agricoltori dei paesi dell’Est per i danni subiti dalla concorrenza sleale di grano ucraino.
Riepilogando: se arrivano cereali da uno dei due paesi in guerra (l’Ucraina), l’Europa interviene al fine di arginare forme di concorrenza sleali e risarcire gli agricoltori europei. Se, però, il grano arriva a Manfredonia dalla Russia, che ha innescato la guerra, o dalla Turchia a prezzi stracciati e qualità scadente, nessuno dice niente.
E’ paradossale che nessuno tuteli l’interesse nazionale, se non a parole. Nei fatti è più brava la Turchia ad esercitare la sua sovranità!
Appena presentate le interrogazioni qualcosa è già accaduto
Dopo le interrogazioni depositate a Bruxelles da Isabella Adinolfi e al Senato da Adriano Paroli, i prezzi della Turchia sarebbero già aumentati a 400 dollari FOB (anche se nel frattempo i rapporti di cambio tra lira turca e dollaro sono peggiorati). Il governo turco starebbe valutando anche di ridurre le richieste di certificati di esportazioni ad 1 milione di tonnellate.
Ecco perchè, dopo il crollo alla riapertura del 30 agosto, le quotazioni di queste due ultime settimane sono rimaste invariate.
“Fare gli interessi dell’ Italia è prioritario“, ha detto la nostra premier. Ma se il Governo non coglie queste occasioni per dimostrarlo appare molto difficile crederci.
In assenza di un sistema di tracciabilità del prodotto nazionale, questi volumi di grano scadente importati a prezzi da saldo favoriscono la speculazione finanziaria, costringono gli agricoltori italiani a vendere sottocosto il proprio grano di qualità e mettono a rischio anche la pasta made in Italy, con risvolti negativi per i consumatori italiani.
Ad aggravare la situazione del mercato italiano del grano duro è anche l’assenza di strumenti (CUN e Registro Cereali) capaci di offrire quella trasparenza, prevista dalle norme italiane, senza la quale i prezzi diventano quantomeno opachi e resta elevato il rischio che le parti contraenti più deboli e meno organizzate possano chiudere le proprie attività, considerato il forte aumento dei costi di produzione.
Il bene della Nazione non può prescindere dalla difesa della nostra agricoltura. Il settore primario dovrebbe essere il primo interesse nazionale da tutelare.
“Salvare la nostra agricoltura è necessario per salvare vite umane”.
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