Quando la politica agricola aveva cavalli di razza
Alla Camera c’è stata una rievocazione della figura di Marcora, ex ministro Dc tra i più amati dal mondo agricolo italiano e da quello cooperativo.
Marcora era competente, determinato, uomo delle cose concrete che non lascia un’ eredità di parole o di scritti, preferendo la testimonianza fattiva dell’imprenditore, del sindaco e dell’uomo di governo. Un negoziatore capace, rispettato e persino temuto in Europa.
Un uomo e un politico di razza la cui biografia offre molti spunti di riflessione e attualità. In particolare sul rapporto tra la politica e l’economia fino al processo d’integrazione europea.
Figlio di un macellaio e piccolo allevatore, nasce ad Inveruno (Mi) dove frequentava la parrocchia e le adunanze dell’azione cattolica. In quel ambiente coltivò una salda adesione ai valori del cattolicesimo democratico. Diventato geometra venne chiamato alle armi, ma decise di disertare e scelse di fare il partigiano delle formazioni di ispirazione cristiana. Nel dopoguerra avviò un’azienda edile e con i guadagni comprò una tenuta agricola sull’appennino.
Nel 1953 fu uno dei promotori a Belgirate della corrente di base DC che voleva spingere il partito verso il rinnovamento, aprire alle donne e a giovani intellettuali in ogni angolo d’Italia.
Aveva capito infatti che la politica, la democrazia e i problemi sociali si risolvono se si coinvolgono le energie fresche di un Paese. I giovani e le donne. Ecco la sua attualità!
Marcora insisteva su alcuni temi cardine della politica della nazione. Ampliamento della base democratica dello Stato, democrazia economica, laicità della politica, dialogo della DC con altre formazioni politiche. Così dal centrismo si passò al centro-sinistra.
Fu chiamato da Aldo Moro al Governo e divenne più volte ministro dell’agricoltura e poi ministro dell’Industria, un ruolo che lo fece emergere come uomo capace di dimostrare la concretezza della politica.
Con la famosa legge Marcora è stato anche precursore di una politica attiva per il lavoro. Una legge che più ha sfidato il movimento cooperativo ad essere all’altezza della sua capacita di sostenere lo sviluppo del paese e l’emancipazione delle persone. Una legge salva aziende che ancora oggi funziona, sebbene abbia subito modifiche. Era stata pensata per le piccole e medie aziende, che erano andate in crisi e che erano irrecuperabili. L’idea era quella delle cooperative in cui i protagonisti diventavano i proprietari dell’impresa.
Lui era intollerante alle iniziative assistenziali, quindi pensò a come recuperare lo spazio per il lavoro. Da lì nacque una forma di cogestione tramite lo strumento delle cooperative formate da lavoratori che rilevavano la loro azienda attraverso un meccanismo semplice. Impegnavano la liquidazione e lo Stato metteva tre volte tanto così da aiutare a capitalizzare.
Non solo i cooperatori ma soprattutto gli agricoltori italiani e le associazioni di categoria, erano tutti letteralmente innamorati di lui perché esempio di ministro competente e amato.
Preferiva rendersi conto di persona delle difficoltà degli agricoltori, parlava con le associazioni di categoria e giunse alla conclusione che fossero necessarie riforme di settore profonde e urgenti:
– Ricomposizione fondiaria;
– Creazione di imprese agricole moderne;
– Aumento della competitività delle produzioni nazionali;
Si accorse che i piani verdi non avevano dato gli effetti positivi sperati perchè impostati secondo principi di assistenzialismo e attuati mediante interventi a pioggia.
Il suo provvedimento più importante fu la legge quadrifoglio del 77 che razionalizzò la spesa pubblica per l’agricoltura con un carattere pluriennale e programmato. Fu una novità. Da allora mai più nessuno ha fatto leggi pluriennali di programmazione. Con la legge quadrifoglio nascono anche le più belle cooperative agroalimentari, apripista oggi di un agroalimentare di filiera (ancora poco equa!). Nel 1981 disse alle centrali cooperative che bisognava andare oltre l’assistenza richiedendo ai loro dirigenti uno sforzo straordinario, che ancora oggi è attuale.
Intuì la crescente importanza della PAC e insegnò i colleghi europei a rispettare di più l’Italia, senza battere i pugni. Il suo prestigio se lo era guadagnato nelle lunghe e difficili maratone agricole e nei confronti con gli altri leader dell’agricoltura europea. Ma i difficili dibattiti europei sulla Pac si intrecciarono alle spinte americane per una nuova ondata di liberalizzazione, proprio in quei settori dell’agricoltura italiana – gli ortofrutticoli – che Marcora voleva tutelare, in difesa degli interessi soprattutto dei produttori del Sud.
Dagli osservatori veniva presentato come battagliero solitario e insofferente alle pressioni americane; indisponibile ad accettare lo scambio prospettato dalla Germania tra il “Pacchetto mediterraneo” e l’apertura commerciale ad alcuni prodotti agricoli americani.
Arrivò finanche a minacciare le proprie dimissioni in difesa di un interesse nazionale che sentiva minacciato da una squilibrata posizione dell’Italia.
Nel 1978 fu suo il successo del pacchetto Mediterraneo che comprendeva una serie di riforme atte a contrastare le sperequazioni tra le agricolture del Nord e quelle del Sud Europa.
Nel suo impegno per costruire un’ Europa Verde, intravedeva un percorso irrinunciabile per edificare la casa comune europea e nel 1975 durante un consiglio dei ministri Cee affermò: “non dobbiamo dimenticarci di essere qui innanzitutto per costruire un’ Europa in cui i differenti interessi economici e sociali trovino una giusta ed equilibrata soddisfazione. Le difficoltà economiche e politiche che caratterizzano la scena mondiale e che stanno progressivamente modificando il quadro generale della costruzione europea ci obbligano a ribadire la ferma volontà di operare per il consolidamento di questo grande disegno politico. La politica agricola comune costituisce un caposaldo della politica della Comunità economica europea”.
Era quella una stagione politica in cui la chiamata al ministero presupponeva una preparazione ed una competenza. Gli uomini venivano scelti solo se in grado di dare un apporto al Governo.
Nella società postmoderna se pensiamo all’agricoltura ci accorgiamo che il Parlamento ha dovuto sopprimere le commissioni ad hoc, mettendo l’agricoltura in un calderone misto; alcune regioni agricole del Sud non trovano il tempo di risolvere il rebus della guida dei propri dipartimenti agricoltura.
E’ ovvio che il confronto con quella stagione, in cui c’erano i cavalli di razza della politica agricola, non regge minimamente.
Per Marcora, contadino tra i contadini e precursore del ruolo ambientale degli agricoltori, l’impegno politico rappresentava il tramite per servire la gente comune e per realizzare la giustizia sociale. Aveva grande capacità di ascolto. In un Congresso DC ebbe modo di affermare:
“Non volete l’agricoltura? Morirete di fame!”
Se fosse ancora vivo oggi più che puntare alla centralità delle produzioni agricole nelle aree mediterranee, punterebbe alla sburocratizzazione che tende a disaffezionare dalla Pac e al recupero della centralità di una “politica agricola” capace di prestare più attenzione alla dignità e ai bisogni del settore.
Il suo mantra è ancora attuale: “Restituire all’agricoltura la dignità economica e sociale sacrificata all’indifferenza della classe politica e condannata all’assistenzialismo dei sussidi per relegarla in un ruolo marginale”. Marcora, come noi, l’agricoltura la voleva centrale!
E di questo, purtroppo, si avverte un disperato bisogno ancora oggi!
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